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Un tema attualissimo nel mondo HR, molto discusso dai tecnici del settore in, è l’impatto delle nuove generazioni sulle organizzazioni, delle soft skill e dell’influenza delle nuove tecnologia nel mondo del recruitment. Ma quali sono le soft skill oggi maggiormente ricercate dalle aziende oggi? E quanto conta metterle in relazione con le competenza tecniche? Come è cambiato (o come tutt’ora sta cambiando) il recruiting con l’avvento del digitale. Lo smart working avvicina le diverse generazioni presenti in azienda?
Quello che abbiamo avuto modo di percepire dal nostro osservatorio privilegiato sul mercato è che le soft skill maggiormente ricercate interessano l’area comunicativa, in quanto i giovani sono sempre meno abituati ad ascoltare ma sono più propensi alla connessione, a leggere ed interiorizzare quanto leggono in modo immediato e dinamico, a creare interconnessioni veloci tra diversi temi e argomenti. Inoltre le aziende richiedono sempre più la capacità di fare team per gestire più efficacemente le attività attraverso la capacita di creare teamworking nonostante oggi si viva in fondo tutti più isolati di un tempo.
Organizzazione del tempo, consapevolezza come capacità di autovalutazione sono sempre apprezzate cosi come il pensiero analitico inteso come problem solving e capacità di gestire il cambiamento. Il giovane che ha vissuto esclusivamente il contenitore accademico, ha meno variabili rispetto al mondo aziendale che è fatto di situazioni e persone molto diverse tra loro ma in relazione. Queste soft skill sono quelle che dico essere le più ricercate perché sono quelle che solitamente i nostri clienti ci richiedono maggiormente. E ci vengono richiesti anche sempre più assessment specifici per indagarle più a fondo.
La digitalizzazione ha portato a due passaggi storici avvenuti nel recruiting. Da una parte l’ormai remoto passaggio dai soli job board ai social network per trovare lavoro e per condividere vision aziendale da parte delle aziende. I candidati aggiornano in tempo reale le proprie informazioni professionali sui propri profili pubblici, le aziende impiegano risorse per trattare temi quali employer branding e reputation, oramai divenuti trasparenti. Dall’altro il recente passaggio al recruiting 4.0 (big data e nuovi crm evoluti)… ma questo è un discorso complesso che richiederebbe una riflessione a parte e che è comunque tutt’ora in costante aggiornamento.
Per rispondere invece alla seconda parte della domanda che reputo molto interessante direi che la digitalizzazione ha consentito l’accesso allo smart working e questo compensa il gap tra le generazioni. Lo compensa nella misura in cui si fa lavorare le vecchie generazioni sui canali delle nuove. Lavorando sullo smart working si adattano le vecchie generazioni agli stumenti delle nuove. E allo stesso tempo ci si apre a temi quali efficientamento e abbassamento dei costi, ma anche flessibilità e conciliazione casa - lavoro. In ottica aziendale tutti i nuovi strumenti digitali perché siano efficaci devono avere anche un fine di business e cioè devono servire a migliorare le performance. Banalmente, se lavoro da casa, risparmio il tempo per recarmi in ufficio, quindi sono più riposato, quindi performo di più. Oppure lavorando da casa, in pausa pranzo parlo con mio figlio, compenso la parte affettiva e performo meglio. Quello che il mercato ci dice è che lo smart working riduce il gap e che per applicarlo bene, occorre gestirlo bene e occorre quindi legarlo a un controllo sulle performances.
I lavoratori piu performanti sono quelli piu ingaggiati. Questo è ormai dimostrato. Certo il cambio di cultura italiano non puo essere immediato, ma siamo sulla buona strada
Ad oggi le nuove generazioni hanno portato il mercato a richiedere più verifiche sulle soft skill sia in fase di selezione e quindi di ingresso in azienda, sia in fase di valutazione delle performance nella fase iniziale di ingresso in azienda.
Come dicevamo all’inizio con la digitalizzazione, i giovani in ingresso nel mondo del lavoro, hanno soft skill diverse da quelle che le aziende richiedono per l’organizzazione attuale che hanno. Non tutte le aziende sono così, ma, come dicevamo, la gran parte. Chiaramente molte aziende operanti in ambito digitale ad esempio, hanno già un’organizzazione che recepisce molto bene i bisogni dei millennials e delle nuove generazioni, da diversi anni praticano lo lo smart working e sono un contesto che va benissimo per il tipo di esperienze di vita che le nuove generazioni hanno fatto prima di entrare nel mondo del lavoro. Ma le altre aziende, quando prendono i giovani che arrivano da dimensioni di vita differenti devono analizzare molto più a fondo di prima le soft skill che ricercano perché potrebbe non esserci aderenza. Le aziende devono sicuramente evolversi e adattarsi a contesti organizzativi più vicini alle nuove generazioni, ma nel frattempo, probabilmente devono individuare i giovani con caratteristiche più coerenti e adattabili al proprio contesto attuale.
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