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Dallo studio di Michael Page su temi relativi alla sostenibilità ambientale, sociale e di governance (ESG), è emerso che 2 lavoratori europei su 3 (68%) non esprimono "a pieno" la propria personalità al lavoro. Perché accade questo? Avviene anche nella nostra organizzazione?
Le risposte a queste domande sono varie e forniscono un quadro eterogeneo. Da un lato, la maggioranza delle persone (57%) che non esprimono a pieno la propria personalità al lavoro afferma di preferire “tenere separate la vita privata e quella professionale”, indicando che, almeno per alcuni lavoratori, si tratta di una scelta consapevole e deliberata.
Alcuni potrebbero preferire l’utilizzo di una “identità contestuale”, in questo caso una “identità idonea al luogo di lavoro” (in contrapposizione, ad esempio, a una “identità che emerge con famiglia e amici”). La maggior parte di noi si comporta in modo diverso con i familiari più stretti, che ci conoscono da una vita, rispetto a come si comporta con gli amici o al lavoro. La versione della propria identità che emerge al lavoro può essere utile per adattarsi a sfide e situazioni lavorative in continua evoluzione. D’altro canto, altre persone potrebbero sentirsi costrette a adattarsi alla cultura dominante per sentirsi incluse nel gruppo e accettate, o semplicemente per “inserirsi”.
Questo ci porta all'altro aspetto, più negativo, dei cambiamenti nella propria identità quando ci si trova al lavoro. Un 27% abbondante di coloro che affermano di non riuscire a esprimere la propria personalità al lavoro, o in generale 1 intervistato su 3, afferma che ciò è dovuto alla paura di discriminazioni a livello professionale. Si tratta di una percentuale significativa, che può influire negativamente sulla capacità di un'organizzazione di assumere o trattenere dipendenti talentuosi e sulle prestazioni aziendali nel loro complesso. Se i lavoratori nascondono la propria personalità autentica sul lavoro per paura di non integrarsi o di sentirsi alienati, o peggio per paura di discriminazioni o per la preoccupazione che ciò possa influire negativamente sul proprio avanzamento di carriera, si tratta di un problema serio che va affrontato nel più breve tempo possibile.
Cosa significa non poter esprimere la propria personalità al lavoro e in che modo i lavoratori si adattano a questa dinamica, raggiungendo il giusto equilibrio tra i due diversi piani della loro vita?
Una possibile spiegazione potrebbe essere il “code switching”, ovvero l'adattamento del proprio stile verbale, del proprio aspetto, del proprio comportamento e del proprio modo di esprimersi in modo da far sentire gli altri più a proprio agio, in cambio di un trattamento equo, di un servizio di qualità e di opportunità di lavoro.
Il code switching si verifica quando gli individui si conformano alla cultura dominante invece di agire come farebbero spontaneamente. In qualche misura, tutti noi mettiamo in atto la commutazione di codice. Il modo in cui parliamo, agiamo e ci vestiamo può essere diverso quando partecipiamo a un'importante riunione di lavoro rispetto a quando usciamo con gli amici o ceniamo con la famiglia.
Tuttavia, il code switching può diventare un problema quando le persone si sentono in obbligo di modificare la propria identità. Se diventa causa di disuguaglianze, può diventare particolarmente dannoso. Ad esempio, molte minoranze etniche sentono di dover modificare il proprio comportamento per allinearsi agli ambienti di lavoro a prevalenza bianca.
Analogamente, dal sondaggio Sustainability Insights di Michael Page è emerso che i lavoratori dell'Europa meridionale sono più propensi a dire che “per lo più non possono” o “non possono affatto” esprimere la propria personalità al lavoro. Questa differenza geografica è particolarmente evidente: gli intervistati dell'Europa settentrionale e centrale sembrano essere più a loro agio nell’esprimere la propria personalità sul posto di lavoro rispetto ai loro colleghi dell'Europa meridionale. Ad esempio, il 90% dei lavoratori olandesi ritiene di poter esprimere la propria personalità, contro il 69% degli italiani.
Forse sorprende meno il fatto che il nostro studio abbia rilevato una differenza significativa nella necessità di cambiare codice a seconda del ruolo o dell'anzianità. I lavoratori ai vertici aziendali riescono meglio a esprimere (a pieno) la propria personalità al lavoro, con un margine del 10% in più rispetto ai lavoratori a livello manageriale o non manageriale (43% contro il 32% e il 33% rispettivamente). Quando il code switching appare come una necessità per chi non occupa posizioni di potere, i dipendenti possono sentirsi oppressi dalle aspettative di conformarsi, che sia per motivi di razza, genere, anzianità o altro.
Il code switching può avere un impatto sia positivo che negativo sui dipendenti. Il contesto sociale è fondamentale. Se un individuo cambia intenzionalmente codice per rafforzare il legame che sente con una comunità emarginata, questo può aiutare le minoranze a sentirsi più a proprio agio sul lavoro. Tuttavia, può diventare un problema quando i lavoratori sentono l’obbligo di cambiare codice e non si sentono liberi di far emergere le altre loro identità. Di seguito abbiamo evidenziato alcuni degli effetti del code switching sui dipendenti, sia positivi che negativi:
Ci sono vari modi in cui le aziende possono ridurre gli effetti del code switching sulla forza lavoro. I team dirigenziali che considerano l'inclusione una priorità possono contribuire a creare un ambiente in cui i dipendenti si sentano a proprio agio comportandosi in modo autentico. I gruppi di risorse dei dipendenti possono essere un ottimo modo per creare spazi sicuri in cui i lavoratori possano confrontarsi tra loro senza paura di essere giudicati.
Un altro approccio efficace per ridurre i casi di code switching è quello di migliorare la diversificazione del team dirigenziale. Uno dei motivi per cui molti dipendenti cambiano codice è che non vedono altri individui simili a loro. Una maggiore diversificazione fra i dirigenti può aiutare ad attenuare la cultura dominante dell'organizzazione e a mostrare ai lavoratori che le differenze culturali e comportamentali non sono un ostacolo alla progressione di carriera.
Anche la formazione è fondamentale. Parlate apertamente con i vostri dipendenti delle questioni legate all'autenticità e alla diversità. Valorizzate le diverse culture dei vostri dipendenti. Assicuratevi che i team delle risorse umane favoriscano un contesto accogliente e offrano corsi di formazione su diversità, equità e inclusione (DEI), per creare un ambiente di lavoro in cui tutti si sentano a proprio agio nell’esprimere se stessi.
Un ambiente di lavoro in cui tutti si sentono a proprio agio nell’esprimere la propria personalità è un luogo in cui la diversità e l'inclusione possono prosperare. Eliminando la necessità di cambiare codice, tutti i lavoratori potranno offrire il loro contributo nel modo migliore, consentendo alle aziende di beneficiare di una maggiore quantità di prospettive. Alcuni ulteriori benefici della diversità e dell'inclusione sul posto di lavoro sono:
Il code switching può portare dei vantaggi, ma questi valgono i costi in termini di salute mentale e benessere generale dei dipendenti? Nascondere la propria vera personalità può essere estenuante e impedire alle persone di essere produttive al massimo delle proprie potenzialità.
Può essere utile pensare al code switching come all'indossare una "uniforme da lavoro/professionale". Questo potrebbe non dare fastidio. Anzi, a qualcuno potrebbe persino piacere. Tuttavia, nel momento in cui questa diventa l'unico "abbigliamento" consentito possono nascere dei problemi. Si tratta della differenza tra una scelta e un obbligo. Quando non si è liberi di mostrarsi diversi e di far emergere le proprie altre identità, che si tratti di abbigliamento, modi di parlare, comportamenti o altro, possono emergere dei problemi.
Quanto è importante essere sé stessi al lavoro? In questo articolo abbiamo raccolto i dati e gli aspetti del fenomeno denominato “code switching”.
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